Con Emergency, ResQ, Mediterranea, con le loro esperienze e il lavoro quotidiano ci arriva una testimonianza concreta che mostra come costruire la pace non è un’utopia, ma una strada possibile.
E che il Mediterraneo può diventare una tenda di pace. Come diceva Papa Francesco: siamo un’unica famiglia, che abita la stessa casa comune.
Eco uno stralcio del mio intervento:
«Qualche giorno fa mi è capitato di ripensarci quando, in occasione della morte di Robert Redford, in Tv hanno trasmesso un vecchio film “Corvo rosso non avrai il mio scalpo”. Mi auguro che non sembri un paragone troppo azzardato. In quella natura selvaggia, in un ambiente duro e ostile, i due uomini, il cacciatore bianco e il capo indiano, così lontani, così diffidenti, capiscono il loro destino sta nella capacità di condividere quelle montagne, la loro vita è lungo lo stesso fiume. Ecco, mi piace pensare al Mediterraneo proprio come a quel fiume. Un mare che oggi troppo spesso divide, ma che noi dobbiamo saper trasformare in una tenda di pace: un luogo di incontro, non di separazione. Un luogo dove costruire ponti invece che muri. Perché ciò accada non possiamo permetterci di restare indifferenti. Lo ha detto con grande coraggio e mi piace citarlo don Riccardo, il parroco di Nardò, quando di fronte ai commenti di alcuni fedeli a uno sbarco di profughi sulle coste del Salento ha usato parole dure: “Non venga più in chiesa chi ha augurato la morte a quei bambini profughi. Si sta andando alla deriva del disumano. Ed io ho la responsabilità di intervenire. Così come devono farlo tutti quelli che si ritengono cattolici. È un discorso di umanità”. È un richiamo forte, scomodo, ma necessario: non basta andare a messa, non basta definirsi cattolici se si rimane indifferenti di fronte al dolore innocente. Ecco allora la sfida che abbiamo davanti: recuperare la barra dell’umanità.Voi lo avete fatto, lo fate, avete scelto di stare lungo quel “fiume”, cioè là dove la vita è fragile e dove serve umanità: sulle navi di soccorso, nei corridoi balcanici, a Ventimiglia, in Africa.Vengo anch’io da una terra di emigrazione, e per questo so quanto sia difficile lasciare tutto e partire. Le nostre famiglie lo hanno vissuto sulla propria pelle, e ci hanno insegnato che non ci si salva mai da soli. Forse proprio da lì nasce la responsabilità di non voltare la faccia a chi oggi cerca sicurezza e dignità. La politica deve anche fare la sua parte: governare, trovare soluzioni, costruire integrazione. Ma la bussola dev’essere chiara: l’umanità prima di tutto. Perché siamo tutti sullo stesso fiume, e il nostro futuro dipende dalla capacità di camminare insieme.
Grazie a voi, Franco e Giuditta, perché con la vostra azione e con la vostra testimonianza ci ricordate che la pace si costruisce così: un gesto alla volta, una vita salvata alla volta.